Re:
Con la questione “apostasia”, il consiglio degli Ulema affronta un punto da sempre pressoché intoccabile nel dibattuto interno all’Islam, ma difficile da controbattere ufficialmente nella sua interpretazione. Eppure nel Corano non si parla direttamente di apostasia, si rimproverano più volte coloro che rinnegano l’Islam, ma non si prevede per loro alcun castigo terrestre per altrui mano. Certo, Dio promette un grande castigo a chi abbandona la religione, ma un castigo - come nelle altre religioni peraltro - che avverrebbe nell’aldilà e non certamente in Arabia Saudita e per mano di un boia, come vuole l’Islam più oscurantista che trova appoggio in certe interpretazioni della Sunna.
Il nodo infatti è contenuto in un famoso hadith che sentenzia «chi cambia religione uccidetelo». Quanto basta per far giungere la condanna di morte agli apostati sino ai nostri giorni. Non più per gli Ulema del Marocco, che argomentano così la loro nuova fatwa: «La comprensione più accurata, e la più coerente con la legislazione islamica e la Sunna del Profeta, è che l’uccisione dell’apostata significava l’uccisione del traditore del gruppo, l’equivalente di tradimento nel diritto internazionale, gli apostati in quell’epoca rappresentavano i nemici della Umma proprio perché potevano rivelare segreti agli avversari». Insomma, un contesto bellico e ragioni più politiche che religiose alla base della ferma condanna per apostasia.
Tutti riferimenti che, ancora di più, fanno emergere questa fatwa come un passo inedito e sono incoraggianti perché contestualizzano storicamente un fatto, rivalutandolo nel nostro presente. Se l’Islam ortodosso, in tutti gli angoli del mondo, procedesse nell’analisi e nell’interpretazione su questa linea, si farebbero molti passi in avanti di cui i musulmani hanno urgente bisogno, oggi più che mai.