Dal fronte dell' HUNTINGTON

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
zoe_13
00giovedì 26 marzo 2009 21:20
Un inviato per la ricerca

l corrispondente di guerra della Nbc ha scoperto di avere il gene di questa malattia, letale per sé e per i suoi familiari.
Le sue speranze e le sue paure, confrontate con quelle del suo difficile mestiere
Il pluripremiato corrispondente della Nbc sarà protagonista, domani 27 marzo 2009, di un incontro organizzato da Unistem per gli studenti delle scuole superiori (Milano, Università degli Studi, via Festa del Perdono 7, ore 9.00). Interverranno E. Cattaneo, G. Cossu, F. Gandolfi e Y.Torrente


Dal fronte dell 'HUNTINGTON


di Charles Sabine

Nel 2005, mentre l'inverno romano lasciava il posto alla primavera, mi sono ritrovato spesso di sera davanti al Vaticano, sotto la pioggia.
Il corpo di Giovanni Paolo II si arrendeva al tempo, alla malattia e alla pallottola di un assassino. Da giornalista, avevo visto finire il comunismo nella sua patria e respirato fumi d'incenso mentre lo seguivo nel suo ultimo pellegrinaggio in Terra Santa.
Nonostante queste affinità, non stavo pensando alla sua salute ma alla mia: dovevo fare un esame che avrebbe determinato il corso della mia vita.
Ne ho trascorso più di metà come inviato della televisione Nbc, spesso in posti dove i dogmi religiosi si scrivono nel sangue; di recente anche a Baghdad dove la buona salute non è mai scontata. I miei non la davamo più per scontata dal 1994, quando avevamo saputo che mio padre era affetto dal morbo di Huntington.
Non ne avevamo mai sentito parlare, ci dissero che era incurabile, e da allora ogni giorno ha avuto il sapore di quella rivelazione. Non solo è incurabile, è di origine genetica. Avevo un 50% di probabilità di soffrirne anch'io dopo dieci o quindici anni.
L'indipendenza che avevo coltivato così a lungo mi era caduta dalle spalle all'improvviso, lasciandomi vulnerabile e fragile come non ero mai stato prima.

Per descrivere il morbo di Huntington, i superlativi non bastano. Per un uomo, qual è la perdita di dignità peggiore? Vedere gli amici trasalire davanti al suo corpo e alla sua mente che si contorcono, mentre il suo cuore grida aiuto e nessuno lo sente? No. Sono certo che mio padre avrebbe sopportato volentieri un'indegnità cento volte peggiore se gli fosse stato risparmiato un dolore ancora più grande: la consapevolezza di aver trasmesso quell'incubo ai suoi figli.  Mio fratello John ha cinque anni più di me e lavora in uno dei più prestigiosi studi legali d'Inghilterra. Adesso, prima di andare dalla sua neurologa, si allena a camminare in linea retta perché sa che lei gli chiederà di farlo, e gli riesce sempre più diffìcile.

Nessuno pensi che la ricerca su una malattia come quella che ha colpito la mia famiglia non lo riguardi. Le vite distrutte dalla demenza di un parente sono molte, nascoste in una comunità che si vergogna, che ha perso la stima di sé. È più vasta di quanto si pensi e crescerà ancora. Tra quarant'anni, prevedono alcuni esperti, metà della popolazione europea soffrirà di una forma di demenza prima di morire.

Venticinque anni passati a osservare gli uomini uccidersi l'un l'altro mi hanno insegnato che le società perdono la propria bussola morale quando sono private di dignità e di speranza. Chi soffre di demenza perde ogni dignità. E la speranza? Ecco, siamo a una svolta potenziale nella storia della medicina.
È possibile, per esempio, che il morbo di Huntington abbia le risposte a molte domande che riguardano il futuro di tutti. Se mutazioni genetiche consentissero di prevedere altre patologie, trattarne i sintomi potrebbe diventare l'ultimo ricorso. Le cellule staminali promettono molto di più, come ha riconosciuto il nuovo governo statunitense quando ha deciso di abrogare una legge arcaica che limitava le ricerche.

In Europa, qual è l'ostacolo? Sempre lo stesso, una cappa accecante, fatta di paura e di disinformazione. Quando, 150 anni fa, Charles Darwin pubblicò l'Origine delle specie, venne accusato dai teologi cattolici di aver insultato la specie umana. Ma come ebbe a dire, «preferirò sempre la reverenza indotta dalla conoscenza alla reverenza indotta dall'ignoranza».
Oggi, la Chiesa ha paura della ricerca sulle cellule staminali. La paura ormai, so riconoscerla.
Nel marzo 1996, erano gli ultimi giorni della guerra nell'ex-Jugoslavia, sono stato catturato insieme alla troupe televisiva da un commando di mojahidin. Al tramonto, lanciarono razzi contro le linee serbe, due chilometri più a nord, poi uno di loro chiamò alla preghiera.
Dal finestrino della nostra auto blindata, potevo vedere il sangue sul muro contro il quale due stranieri di un'agenzia internazionale per lo sviluppo erano stati uccisi il giorno prima. Il giovane guerrigliero, che per cinque ore mi aveva puntato contro un AK47,  tolse la spoletta di una bomba a mano che mi appoggiò sulla testa mentre chiudeva gli occhi e pregava Allah. Ho provato paura vera, ma né quel momento né altri che ho vissuto installano un terrore simile al morbo di Huntington.
Sono andato via da Roma, ho fatto quell'esame e ho scoperto che la malattia che ha colpito mio padre e che comincia a colpire mio fratello colpirà anche me. Non passa ora senza che m'immagini il degrado della mia vita, o mi chieda se potrò ancora ballare quando mia figlia più piccola compirà 16 anni.
Ogni giorno, migliaia e migliaia di persone si rendono conto che forse i frutti della ricerca arriveranno troppo tardi per aiutarle e scivolano in una disperazione senza ritorno.
Non sottovalutate il significato di quella ricerca per tutti quelli che nel mondo soffrono di malattie simili, e per quelli ancora più numerosi che li amano e li accudiscono: leggono avidamente i giornali, i siti internet, in cerca di qualche briciola di notizia uscita da un laboratorio. In un mondo di tenebre il minimo bagliore di luce è un incoraggiamento per lo spirito.

Nel 2003, ho voluto capire cos'era successo ai malati di mente durante l'invasione dell'Iraq. Nell'unico asilo psichiatrico del Paese, le porte erano state rubate, la maggior parte dei malati se n'erano andati, restavano solo le donne, senza né acqua né farmaci, e molte erano state violentate dai ladri. Tutto il personale era fuggito, meno un'infermiera chiamata Leyla che per non essere scoperta aveva indossato la divisa da paziente pur di continuare ad assistere le donne che, senza di lei, non sarebbero sopravvissute.
Mi è venuta in mente l'espressione "abbandonate da Dio" e mi parve quella giusta.
Ripensandoci però, mi sono reso conto che non lo era. Un dio personale era manifesto nel coraggio, nella bontà, nel puro e semplice amore di quell'infermiera.
Nel tempo delle tenebre, sono queste qualità dello spirito umano a illuminarci e a darci speranza. È nella nostra natura accudire gli invalidi, cercare di aiutarli e nessuna autorità al mondo ha il diritto di frustrare questo istinto. Il morbo di Huntington è un attacco allo spirito umano, ma sarà respinto perché contro di esso si mobilita l'umanità migliore.
Coloro che in nome di qualunque organizzazione provano a intralciarla, ne saranno puniti dalla propria coscienza: posso solo pregare perché né loro, né un loro familiare soffra mai di una malattia per la quale vogliono proibire la ricerca di terapie. Gli scienziati sono capaci di mutare quella sentenza definitiva. Sappiamo di cos'è capace lo spirito umano. Alla fine di un'altra guerra che non rimosse Saddam, sono andato alla frontiera con l'Iran verso il quale, si diceva, fuggivano i curdi. E ho visto una marea umana superare le montagne, un milione di persone, in maggioranza donne e bambini, che scappavano dai bombardamenti con le armi chimiche. Era inverno, il freddo era tremendo, nessuno avrebbe creduto a quello che stava accadendo se non l'avessimo filmato. Mi è rimasta in mente una ragazzina, di dodici anni forse, che si issava sulle rocce con in spalla la sorella di tre anni che aveva perso conoscenza e sembrava non respirare più. L'aveva portata così per quasi centocinquanta chilometri.
Siamo capaci di fare anche di più, se pensiamo di procedere verso un mondo migliore. Forse per me è troppo tardi, ma non per i bambini di oggi e per quelli che devono ancora nascere. Anche in Europa esiste una comunità che ha perso la stima di sé e tutti noi abbiamo la responsabilità morale di restituirle dignità e speranza.
(Traduzione di Sylvie Coyaud)

IlSole24Ore

alicev77
00giovedì 26 marzo 2009 22:22
Bell'articolo, grazie Zoe
zoe_13
00giovedì 26 marzo 2009 23:43
Grazie, Alice
smackkk
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:05.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com