Il business olio di palma

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bistrascio
00domenica 10 gennaio 2016 00:45
UTILIZZATO NEI PRODOTTI DI LARGO CONSUMO
IN QUANTO PIÙ ECONOMICO DI BURRO E
MARGARINA, È SEMPRE PIÙ RICHIESTO DALLE
MULTINAZIONALI, NONOSTANTE IL FORTE
DUBBIO CHE SIA DANNOSO PER LA SALUTE.
UN’AUTENTICA CORSA ALL’ORO IN KALIMANTAN,
NEL CUORE DEL BORNEO E SUDEST ASIATICO,
UNO DEI GRANDI POLMONI VERDI DEL PIANETA,
CON COSTI ALTISSIMI. UMANITARI INNANZITUTTO,
CON LO SFRUTTAMENTO DELLE POPOLAZIONI
LOCALI, E NATURALISTICI. LA PESANTE
DISTRUZIONE DELLE FORESTE TROPICALI
PER FAR POSTO ALLE PIANTAGIONI DI PALMA
METTE, INFATTI, A RISCHIO ESTINZIONE MOLTE
SPECIE ANIMALI. UNA TEMATICA FORSE UN
PO’ SCOMODA PER IL PERIODO NATALIZIO,
NEL QUALE IL CONSUMO DI PRODOTTI CHE
POSSONO CONTENERE PALM OIL AUMENTA
VERTIGINOSAMENTE, MA CHE NON PUÒ ESSERE
CERTO IGNORATO. PERCHÉ ABBIAMO SOLTANTO
INIZIATO A PAGARNE IL CONTO. A PARTIRE DAI CAMBIAMENTI CLIMATICI. Fortunatamente, anche se in ritardo, è en-
trato in vigore lo scorso dicembre il rego-
lamento Ue che rende più trasparenti le
etichette alimentari a vantaggio dei consu-
matori e dell’ambiente. Infatti ora le aziende
hanno l’obbligo di riportare la dicitura “olio
di palma”, se presente nel prodotto, e non
più, come prima, il generico “oli vegetali”.
Nascono gruppi “No olio di palma” su Fa-
cebook ed altri social network e finalmente
stanno pian piano venendo alla luce e all’at-
tenzione dell’opinione pubblica (gli interessi
in gioco sono molto alti per cui c’è una certa
reticenza a parlarne, salvo pochi coraggiosi
esempi, anche fra gli organi di stampa) pro-
blematiche già da tempo note ad ambienta-
listi ed attivisti che da anni ne denunciano la
grave situazione. Perdita di foreste equato-
riali e possibili danni alla salute del consu-
matore sono fattori da prendere seriamente
in considerazione; il Borneo, un’isola gran-
de quanto Spagna, Portogallo e un pezzo di
Francia, ha perso, in circa quarant’anni, la
sua foresta primaria del 50% a vantaggio
delle mono culture di palma da olio.
Ne consegue una facile equazione: la perdi-
ta di foresta è anche perdita di biodiversità,
specie animale e vegetale, modifica del clima
globale e desertificazione. Ergo, un proble-
ma che ci riguarda molto da vicino. Non a
caso le stagioni sono cambiate e sempre più
ci dovremo abituare alla tropicalizzazione
del Mediterraneo e a fenomeni naturali ca-
tastrofici e imprevedibili.
Un’industria e un commercio ormai non più
sostenibili, un modus operandi che inquina
con gas serra e taglia foreste, unica fonte di
ossigeno e rigenerazione dell’atmosfera in-
sieme agli oceani.
A questi ritmi nel giro di qualche decennio
sorpasseremo il punto critico di non ritor-
no. Il fenomeno di queste mono culture ri-
guarda sopratutto Malesia e Indonesia, ma
anche in Sud America e Africa la foresta sta
cedendo il passo all’olio di palma. KILLER DELLE FORESTE
E NON SOLO
Cosa sta dietro a tanta distruzione? Si chia-
ma palm oil, olio di palma, ed è un prodot-
to vicino a noi più di quanto si pensi. Molto
probabilmente la mattina consumate un
cornetto al bar, date a vostro figlio una me-
rendina per andare a scuola, spalmate una
gustosa crema alla nocciola sul pane e curate
il vostro corpo con una crema estetica: tutti
questi prodotti contengono quasi sicura-
mente (anche se alcuni marchi stanno pun-
tando proprio su una politica produttiva e di
conseguenza su un posizionamento sul mer-
cato palm oil free) olio o grasso palmitico. È
facile scoprire quante volte al giorno ingerite
il palm oil perché da gennaio 2015 i produt-
tori di alimenti sono obbligati a segnalare il
tipo di olio vegetale sulla confezione.
L’olio di palma è prodotto grazie alla elaeis
guineensis, una palma di origine africana
che viene piantata su larga scala in Borneo.
La richiesta mondiale del prodotto della pal-
ma, soprattutto da parte delle grandi multi-
nazionali operanti nel mercato dei prodotti
di largo consumo è in forte impennata, per
il suo basso costo e per le caratteristiche
organolettiche che non modificano il gusto
dei cibi, un sostituto della margarina e del
burro.
Recenti studi ne metterebbero in evidenza
la dannosità per la salute e continuare ad
assumere cibi che contengono olio di pal-
ma potrebbe portare nel tempo, soprattutto
se si esagera con le quantità, a conseguenze
anche gravi. Su questa linea si muove anche
uno studio italiano: l’olio di palma – dicono
le Università di Bari, Padova e Pisa, in col-
laborazione con la Società Italiana di Dia-
betologia – è potenzialmente in grado di
compromettere le cellule del pancreas che
producono l’insulina. Con conseguenti dan-
ni irreversibili, tra cui il diabete mellito, oltre
a quelli a carico del sistema cardiovascolare.
Non è così difficile assumerne, sopratutto
per i bambini. Quest’olio è presente in mol-
ti prodotti per la prima colazione: biscotti,
merendine, creme alla nocciola spalmabili.
Prodotti sempre più utilizzati in Occidente,
per la cui produzione viene sempre più ri-
chiesto palm oil, più economico come si di-
ceva rispetto ad altri ingredienti. Risultato?
Distruzione, proprio per far posto ai nuovi
palmeti, di centinaia e centinaia di ettari di
foreste, habitat di migliaia di specie animali
e casa per le etnie locali del Borneo, i Dayak.
EMERGENZA UMANITARIA
La coltura di queste specie crea anche danni
collaterali: nelle piantagioni viene utilizzata
molta acqua, anticrittogamici e diserbanti,
privando così il territorio delle sue risorse
idriche oltre a inquinare le falde acquifere.
È, dunque, anche un importante proble-
ma sociale. Le multinazionali del palm oil,
affamate di nuovi terreni dove coltivare,
acquistano a prezzi bassissimi le proprietà
forestali dei villaggi Dayak, a cui viene an-
che offerto lavoro nelle fabbriche di trasfor-
mazione. La popolazione, privata della sua
primaria fonte di sostentamento, la foresta,
è costretta a migrare in villaggi, piuttosto
degradati, costruiti dalle stesse compagnie
o dal governo. Abbiamo toccato con mano
quanto sta accadendo in Kalimantan, nel
Borneo, portando avanti la nostra indagine
giornalistica indipendente, supportata dalla
Nikon School Italia e con il patrocinio di Fsc
Italia – Forest Stewardship Council. Abbia-
mo scelto di recarci nel nordest dell’isola,
una zona che da fotografie satellitari doveva
darci garanzia di foreste ancora intatte, in-
vece con amarezza abbiamo constatato che
l’avanzata del “killer” sta distruggendo anche
lì centinaia di chilometri quadrati di fore-
sta. Sono nate nuove strade per il trasporto
dell’olio e nuovi villaggi per la manodopera:
una vera corsa all’oro.
Il fumo degli incendi, appiccati apposita-
mente per fare posto alla nuova coltura, ri-
copre letteralmente il cielo, le strade, i villag-
gi. Pur essendo all’Equatore non abbiamo
dovuto usare creme solari, in un’atmosfera
surreale, quasi post-atomica: il sole non l’ab-
biamo mai visto!
Abbiamo visitato e constatato che i villaggi
Dayak che riescono a non cedere la propria
terra sono ormai pochissimi. Le multinazio-
nali offrono loro una somma pari a 80 euro
per ogni ettaro di foresta, con la promessa di
coltivare riso per un anno dopo la deforesta-
zione, una tentazione troppo forte per i po-
veri indigeni. Un vero e proprio paradosso,
un disastro non solo ambientale ma anche
sociale. In altre parole una truffa. Spese le
poche migliaia di euro e coltivato il riso per
un anno, il villaggio è obbligato per cause di
forza maggiore a fornire manodopera a bas-
so costo alle fabbriche sorte sul territorio per
la raffinazione dell’olio. Quei pochi che rifiu-
tano questo stile di vita, vengono trasferiti in
moderne riserve in stile coloniale costruite
dallo Stato.
Le multinazionali,
affamate di
nuovi terreni,
acquistano a
prezzi bassissimi
le proprietà
forestali dei
villaggi Dayak,
con la promessa di
coltivare riso per
un anno dopo la
deforestazione.o diverse etnie, i Dayak rappresentano oggi il 25% della popolazione
dell’isola in quanto il governo indonesiano a partire dagli
anni ‘60 ha incentivato, dando concessioni di sfruttamento
agricolo nelle giungle, l’immigrazione dei Maduresi, che hanno
finito per trasformare i Dayak in minoranza. Terre che appar-
tenevano di diritto, seppur per tradizione senza la necessità di
alcun documento scritto, ai Dayak appunto e per la sottrazio-
ne delle quali non è mai stato corrisposto loro alcun tipo di
indennizzo. Tra le due etnie le relazioni sono, quindi, piuttosto
difficili. I Maduresi sono piuttosto bellicosi e praticanti della
religione islamica, mentre i Dayak sono perlopiù pacifici e a
maggioranza cristiana in seguito all’evangelizzazione dei mis-
sionari, anche se originariamente animisti. Nonostante si di-
chiarino cristiane, molte tribù credono nella presenza di spiriti
benevoli e maligni conservando ancora tradizioni e cerimonie
animiste. Un tempo qui si praticava, per esempio, il taglio della
testa in quanto per i Dayak il cranio contiene la forza e l’anima
dell’uomo, una pratica propiziatoria usata nei secoli prima dei
raccolti, per un matrimonio o per rendere fertile la terra. Prati-
ca ovviamente messa al bando dal governo indonesiano.
Oggi, fra le cause di maggiore frustrazione dei Dayak c’è
l’inquinamento dei fiumi e la distruzione delle foreste con cui
hanno sempre vissuto in stretta simbiosi. Il tasso di deforesta-
zione è quasi raddoppiato negli ultimi anni e ormai si perdono
annualmente circa un milione di ettari contro i 500mila del
1980, nonostante il governo abbia vietato le esportazioni di
legname. "Una misura – spiega Stepanus Djuweng, direttore
dell’Istituto di Dayakologia – inutile in quanto lo Stato non
agisce contro gli imprenditori coinvolti nel traffico, che hanno
i mezzi per corrompere un po’ a tutti i livelli. Motivo per cui,
insieme alle tante altre problematiche di natura sociale e dello
sfruttamento selvaggio delle foreste, i Dayak si sentono poco indonesiani".
NewAdventuresInHi-Fi
00domenica 10 gennaio 2016 08:13
AZz sembra uno di quei post che si vedevano 15 anni fa nei newsgroup agli albori dell'internet di massa.
bistrascio
00domenica 10 gennaio 2016 09:50
Bah scusate per come l'ho imbastito,ma l'ho prelevato in copia e incolla da una copia di"Playboy"(italia dicembre 2015)...un giornale normale non l'avrebbe messo di sicuro...
bistrascio
00lunedì 11 aprile 2016 11:28
Raga guardatevi questo servizio su RSI(tv svizzera come mai non italiana guarda caso)e SVEGLIATEVI!RSI
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