chichibio

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
gioiaedolore
00sabato 2 maggio 2009 15:08
favoletta x bambini
Viveva a Firenze un nobile cittadino, chiamato messer Corrado, generoso con tutti, il quale, buon cavaliere, si dilettava continuamente di cani e di uccelli, per non parlare delle sue opere di maggiore conto. Un giorno, nei pressi di Peretola, egli prese col falcone una bella gru, e, trovatala giovane e grassa, la mandò a un suo abile cuoco, che si chiamava Chichibio, con l’ordine di arrostirla con ogni cura e servirgliela a cena.
Chichibio la prese e si accinse subito a cuocerla; e quando la cottura fu quasi al termine, cominciò a diffondersi attorno un odore gradevolissimo. Venne a passar di lì una ragazzetta della contrada, la quale era chiamata Brunetta e di cui il buon Chichibio era innamoratissimo; ella entrò nella cucina e, nel sentirne l’odore della gru e nel vederla sul fuoco, si mise a pregar Chichibio di dargliene una coscia.
- No davvero – rispose Chichibio, - proprio non posso.
Donna Brunetta se ne corrucciò molto e infine disse:
- In fede di Dio, se non me la date, vi giuro che non vi guarderò più in faccia.
E così andarono avanti a litigare. Finché Chichibio, per non vederla adirata, tagliò una coscia alla gru e gliela diede. La gru fu portata così, senza una coscia, alla mensa di Corrado che aveva convitato un amico suo; e Corrado, molto stupito, fece chiamar Chichibio e gli chiese che cosa fosse avvenuto dell’altra coscia della gru. Il brav’uomo rispose subito:
- Signore, le gru hanno una sola coscia e una gamba.
- Come diavolo non hanno che una coscia e una gamba? – domandò Corrado. – E’ forse questa la prima gru che vedo?
- Messere, - insisté Chichibio, - è proprio così come vi dico. E ve lo farò vedere negli uccelli vivi quando vorrete.
Corrado, per non far discorsi davanti ad un invitato, volle tagliar corto e concluse:
- Va bene, lo vedremo domattina, e se sarà come dici sarò contento. Ma ti giuro che, se sarà altrimenti, ti farò conciare in maniera tale che ti ricorderai di me finché campi.
Per quella sera non fu detto altro, ma il mattino dopo, appena sorto il sole, Corrado, a cui non era affatto sbollita l’ira durante la notte, si alzò ancor pieno di stizza e comandò di sellare i cavalli. Poi fece montare Chichibio sopra un ronzino e lo condusse sulle rive di un fiume dove, sul far del giorno, si vedevano sempre delle gru.
- Adesso vedremo chi di noi due ha mentito ieri sera, - disse minaccioso.
Chichibio, vedendo che l’ira di Corrado era ancora viva e che doveva provare la sua bugia, cavalcava pieno di paura a fianco del padrone senza sapere quello che dovesse fare. Se la sarebbe data volentieri a gambe, se avesse potuto, ma, poiché purtroppo non lo poteva, si guardava ora davanti, ora dietro, ora di fianco, e in tutto ciò che gli appariva gli sembrava vedere delle gru piantate su due buone gambe.
Arrivati però nelle vicinanze del fiume, riuscì a vedere prima degli altri ben dodici gru le quali se ne stavano tutte su una gamba sola come sogliono fare quando dormono.
Si affrettò dunque a mostrare a Corrado dicendo:
- Messere, potete vedere molto bene che ierisera vi dissi il vero. Le gru hanno una sola coscia e un solo piede: guardate là.
Corrado le guardò un poco e poi rispose:
- Aspetta, e ti farò vedere che ne hanno due.
E, avvicinandosi agli uccelli, gridò:
- Oh! Oh!
A quel grido le gru mandarono giù l’altro piede e, fatto qualche passo, presero a fuggire. Corrado si rivolse allora a Chichibio dicendo:
- Che te pare furfante? Non ti sembra che ne abbiano due?
Chichibio, mezzo tramortito, non sapendo in che mondo si fosse, rispose:
- Messer si, ma voi non avete gridato “oh, oh” a quella di ieri sera: se aveste gridato così essa avrebbe mandato fuori l’altra coscia e l’altro piede come hanno fatto queste.
A Corrado questa risposta piacque tanto che tutta la sua ira si convertì in riso e allegria; e disse:
- Hai ragione, Chichibio, dovevo fare così.
E Chichibio, con la sua pronta risposta, sfuggì al pericolo e si rappacificò col suo padrone.

GIOVANNI BOCCACCIO
gioiaedolore
00sabato 2 maggio 2009 15:14
fiaba islandese

Un contadino e sua moglie avevano due figlie; la prima, Margherita, ogni estate saliva in montagna per lavorare come pastorella all'alpeggio. Una sera, mentre stava mungendo le mucche, entrò un piccolo elfo e le chiese un po' di latte. Margherita lo cacciò dopo averlo schiaffeggiato. Il bambino fuggì e raccontò a sua madre cosa gli era successo. L'elfa si incollerì e maledisse la giovane: "Fallirai in tutto ciò che farai!".
Ben presto tutti notarono come Margherita fosse diventata inetta, tanto che i suoi genitori le ordinarono di lasciare l'alpeggio e mandarono al suo posto la seconda figlia, Elena. Anche lei ricevette la visita dell'elfo. Elena gli diede volentieri il latte e gli permise di berne un po', invitandolo a tornare ogni volta che l'avesse desiderato. La madre dell'elfo benedisse Elena: "Porterai a termine con successo tutto ciò che intraprenderai!"
Passarono diversi anni. Elena aspettava un bambino. Il giorno in cui nacque il bambino successe un fatto strano: la ragazza che aiutava Elena, entrando nella camera da letto della padrona, trovò due elfi, un uomo e una donna anziana. La vecchia madre elfa fasciò il neonato e lo porse all'uomo, poi, salutata Elena, se ne andarono con il bambino. Per diverso tempo, ogni giorno l'elfo venne ad occuparsi con amore di Elena. I genitori della ragazza, saputo del bambino, non volevano accettare un elfo come genero. Così, costrinsero Elena a sposare un giovane contadino. Prima del matrimonio, la madre di lei sognò che un elfo, travestito da viaggiatore, avrebbe rapito la figlia. Disse allora al fidanzato di Elena: "Promettimi di non ospitare mai sconosciuti senza parlarmene prima, altrimenti perderai tua moglie!"
Il giovane promise. Tutto prosperava nelle mani di Elena e grazie a lei suo marito viveva nell'agiatezza. Elena però diventava sempre più malinconica e introversa. Passarono alcuni anni. Un giorno d'autunno, un uomo con un bambino si presentò a casa del contadino chiedendo ospitalità. Ma il contadino gli rispose che doveva prima chiedere il permesso a sua suocera.
"Che femminuccia! - disse lo straniero ridendo - E' assurdo che non abbiate il coraggio di accogliere un ospite senza il permesso di vostra suocera!"
Il contadino si sentì molto umiliato e alloggiò i viaggiatori nella stalla. Poi corse dalla suocera. Lei disse tristemente: "Perché non hai mantenuto la promessa? Adesso tua moglie ti lascerà di certo!"
Il contadino si pentì, ma non osò ritrattare la parola data e lasciò che gli stranieri rimanessero nella stalla. Trascorse un breve periodo molto sereno ed Elena non sapeva degli ospiti nella stalla. Una domenica, mentre la coppia si recava in chiesa, il marito cadde e si ruppe un braccio. Elena corse nella stalla per prendere dei legni e steccare l'arto fratturato e scoprì i due stranieri. Il marito attese a lungo il suo ritorno; infine si trascinò sino al granaio. Sentì la voce di Elena che diceva: "E' la bevanda più dolce che io abbia mai bevuto!" Un attimo di silenzio.. e il contadino spalancò la porta: grazie alla pozione, sua moglie era diventata un elfo. Un raggio di luce penetrò dalla finestra: Elena si volse verso lo straniero e il bambino, loro figlio, elfi non più sotto mentite spoglie, e tutti e tre, leggeri come libellule, volarono via.
---
gioiaedolore
00sabato 2 maggio 2009 15:16
fiaba persiana

C’era una volta un giovane di nome Ebrahim che viveva con la sua vecchia madre in una piccola città. Non possedeva altro che cento toman e un gatto. Un giorno andò a passeggiare nel bazar della città e notò una cassapanca. Ebrahim provò il desiderio di comprarla e così diede tutto il denaro che aveva e se la portò a casa. La madre, vedendo che aveva speso tutto ciò che aveva per una cassapanca si arrabbiò moltissimo. Ebrahim cercò di aprire la cassapanca che era chiusa a chiave e quando l´aprì ne uscì un grosso serpente. Ma non era un serpente vero, era una fanciulla coperta con la pelle di un serpente. Ella raccontò di essere sfuggita a dei rapitori e di essersi così nascosta lì dentro. Inoltre chiese ad Ebrahim di riportarla da suo padre che gli avrebbe dato una grossa ricompensa. Il ragazzo accettò e strada facendo la ragazza gli disse di chiedere al padre come ricompensa il piedistallo del suo narghilè. Quell´oggetto, gettandolo al suolo, gli avrebbe donato un magnifico palazzo con dentro tutto ciò che avrebbe desiderato il suo cuore. Così infatti successe e sebbene il re fosse piuttosto riluttante nel soddisfare la sua richiesta, Ebrahim ottenne ciò che chiese. Durante il ritorno Ebrahim si ritrovò in un immenso campo senza acqua né piante e decise di provare se davvero quel piedistallo avrebbe funzionato. Lo gettò a terra e d´improvviso comparve un bellissimo ed imponente edificio con tutte le comodità. Ebrahim mangiò e bevve e quando ebbe finito bussarono alla sua porta dei dervisci mendicanti che chiedevano l´elemosina. Ebrahim diede loro cibo e acqua finché uno di loro non gli chiese come aveva fatto ad avere un così bel palazzo nel deserto. Ebrahim spiegò loro la storia e fu così che uno dei dervisci rispose di avere anch´egli un anello fatato dal quale potevano uscire quattro robusti schiavi che ubbidiscono ad ogni ordine ogni volta che viene strofinato. Il mercante gli propose di scambiarlo con la base del narghilè. Dopo vari convincimenti Ebrahim acconsentì allo scambio. Ma quando si ritrovò nuovamente senza niente in mezzo al deserto si pentì amaramente della scelta. Tentò di strofinare l´anello e gli apparvero quattro robusti schiavi. Ordinò loro di mettersi alla ricerca dei dervisci e toglier loro di mano il piedistallo del narghilè. Detto e fatto. In pochi minuti aveva di nuovo il suo piedistallo. Ebrahim continuò la sua strada. Arrivato in una regione molto bella decise di creare nuovamente un bel palazzo. Strofinò l´anello sulla mano e comparvero i quattro schiavi in attesa dei suoi ordini. Un giorno la figlia del re passò di lì e decise di andare a trovare Ebrahim. Ella lo pregò di regalarle l´anello e lui subito acconsentì. Ma una volta uscita dal palazzo Ebrahim si pentì. Fu il fedele gatto questa volta a correre in aiuto di Ebrahim. Il gatto andò nel palazzo del re e si nascose nella camera della principessa. Riuscì a prenderle l´anello e lo riportò ad Ebrahim che ne fu molto felice. Poco tempo dopo il giovane chiese la mano della principessa e divenne così il genero del re. Andò a prendere sua madre per tenerla con sé e per tutto il resto della vita vissero felici e contenti.
---
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:22.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com