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Concilio Vaticano II (documenti emanati)

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    Ratzigirl
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    00 12/02/2006 15:24
    Concilio ecumenico Vaticano II è stato il ventunesimo ed uno dei più importanti concilii della Chiesa cattolica.

    Indetto da Papa Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, al suo annuncio seguirono tre anni di lavoro durante i quali una commissione preparatoria - consultando tutti i vescovi cattolici - definì gli argomenti da trattare durante le sessioni plenarie del Concilio.

    Il Concilio fu aperto ufficialmente l'11 ottobre 1962 da Papa Giovanni XXIII all'interno della Basilica Vaticana.

    Alla morte di Giovanni XXIII (1963) fu continuato dal suo successore Paolo VI.

    Si svolse in nove sessioni, in quattro periodi, e terminò il 7 dicembre 1965.


    CONCILIO VATICANO II


    Costituzioni contenute:

    4 Costituzioni:

    Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia
    Lumen Gentium sulla Chiesa
    Dei Verbum sulla Parola di Dio
    Gaudium et Spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo

    9 Decreti:
    Ad Gentes sull'attività missionaria della Chiesa
    Presbyterorum Ordinis sul ministero e la vita dei presbiteri
    Apostolicam Actuositatem sull'apostolato dei laici
    Optatam Totius sulla formazione sacerdotale
    Perfectae Caritatis sul rinnovamento della vita religiosa
    Christus Dominus sull'ufficio pastorale dei vescovi
    Unitatis Redintegratio sull'ecumenismo
    Orientalium Ecclesiarum sulle chiese orientali
    Inter Mirifica sui mezzi di comunicazione sociale

    3 Dichiarazioni:
    Gravissimum Educationis sull'educazione cristiana
    Nostra Aetate sulle relazioni con le religioni non cristiane
    Dignitatis Humanae sulla libertà religiosa

    [Modificato da Ratzigirl 12/02/2006 15.25]

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    @Nessuna@
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    00 24/07/2007 07:30
    Vaticano II: Concilio generale o Concilio ecumenico?

    Parla il Presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche

    CITTA' DEL VATICANO, lunedì, 23 luglio 2007 (ZENIT.org).- Il Concilio Vaticano II, come ogni altro Concilio, “va collocato e interpretato nella tradizione della Chiesa”, afferma monsignor Walter Brandmüller, dal 1998 Presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche.

    In un articolo apparso sul quotidiano Avvenire e su L'Osservatore Romano il 13 luglio scorso, che faceva seguito ad una nota sullo stesso argomento pubblicata il 3 giugno sempre sul quotidiano vaticano, il presule ha voluto così commentare alcune tesi contenute nel primo volume di una nuova edizione dei Conciliorum Oecumenicorum Decreta.

    L'opera dal titolo Conciliorum Oecumenicorum Generaliumque Decreta (sono previsti quattro volumi nella collana “Corpus Christianorum”) è stata pubblicata nel 2006 dall'editore Brepols di Turnhout (Belgio) ed è curata dall'Istituto per le scienze religiose di Bologna.

    I Conciliorum Oecumenicorum Decreta sono invece una raccolta dei decreti dei Concili abitualmente detti ecumenici, a partire dalla lista di Roberto Bellarmino (1542-1621), precedenti al Concilio Vaticano II, che è apparsa nel 1962 per iniziativa dello stesso Istituto bolognese e a cura di Giuseppe Alberigo, Giuseppe Dossetti, Perikles Joannou, Claudio Leonardi e Paolo Prodi.

    Nell'articolo, monsignor Walter Brandmüller, che è anche fondatore e Direttore della collana “Konziliengeschichte” e della rivista “Annuarium Historiae Conciliorum”, ha detto che rispetto alla precedente edizione già il titolo “distingue tra Concili 'ecumenici' e Concili 'generali', con una distinzione molto problematica e di cui non viene fornita alcuna spiegazione”.

    “Inoltre non tutti i Concili definiti ecumenici - o così chiamati nella storiografia e nei documenti del magistero ecclesiastico - sono intesi come tali dagli editori. In particolare, né il Tridentino né i due Concili Vaticani sarebbero da considerarsi ecumenici”, scrive ancora.

    Nel ravvisare alcune scelte poco chiare e discutibili, il presule si interroga poi su quali siano i criteri ineludibili che rendono ecumenico un Concilio, differenziandolo al contempo da un Concilio generale.

    Monsignor Brandmüller spiega che “in origine si chiamavano ecumenici i Concili i cui partecipanti provenivano dall'ecumene, cioè dai territori dell'impero romano; in seguito, quando questi territori progressivamente si ridussero, il termine 'ecumenico' si riferì alla Chiesa nella sua totalità”.

    “Fino ad allora i due ambiti erano quasi coincidenti, prescindendo però dalle Chiese esistenti in Oriente fuori dall'impero. In seguito ecumene è stato ed è inteso come sinonimo di Chiesa universale”.

    “Di conseguenza i Concili ecumenici sono riunioni del collegio episcopale finalizzate all'esercizio collegiale del ministero magisteriale e pastorale della Chiesa, i cui decreti sono obbligatori per tutta la Chiesa e, nel caso di quelli dottrinali, infallibili e perciò irrevocabili”.

    “È questo, dunque, l'elemento che definisce l'essenza di un Concilio ecumenico, a prescindere da ogni trasformazione storica”, ha affermato.

    “Va registrato invece un certo dissenso quando si tratta dei requisiti che devono essere soddisfatti affinché un Concilio possa essere definito ecumenico”, ha aggiunto.

    “Deve in primo luogo essere considerata non tanto l'istanza attraverso cui avviene la convocazione - per lungo tempo compito degli imperatori d'Oriente - ma piuttosto quanto esteso fosse l'invito: invitati dovevano essere i Vescovi di tutta la Chiesa. Se erano presenti e in quale numero, è invece meno rilevante”.

    “Di un certo peso, per quanto non di importanza decisiva, è altresì la ricezione dei decreti, soprattutto da parte delle Chiese particolari assenti o non rappresentate. La ricezione e la conferma avvengono essenzialmente attraverso il Papa”, ha spiegato.

    “Senza il capo del collegio dei Vescovi e senza il suo consenso un'azione del collegio episcopale non è pensabile, e l'approvazione papale sostituisce quella delle Chiese particolari non presenti”, ha chiarito poi.

    “La ricezione attraverso il Papa venne a suo tempo giudicata essenziale anche da chi aderiva alla visione ecclesiologica pentarchica, fondata cioè sulle cinque grandi sedi episcopali (Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme)”.

    A tal riguardo, ha aggiunto, Vittorio Peri “ha scritto che al tempo di Damaso I (366-384) per tutti i Vescovi un Concilio plenum et generale supponeva, per essere tale, 'anche il qualificato concorso del Vescovo di Roma o dei suoi plenipotenziari' e che tra i due Concili Niceni (325-787) 'tale tipo di Concili rimase semplicemente impensabile senza un concorso del Vescovo di Roma'”.

    “Un problema particolare è rappresentato dalla definizione 'Concili generali della Chiesa Romana Cattolica' attribuita ai Concili di Trento, al Vaticano I e al Vaticano II”, ha sottolineato poi monsignor Brandmüller.

    “Perché questa definizione, con la quale si intende evidentemente distinguere questi Concili dai 'Concili generali' del Medioevo? Il decreto del Tridentino sulla sua conclusione e la bolla di conferma di Pio IV definiscono l'assemblea sacra oecumenica synodus ed oecumenicum Concilium. Perché quindi 'Concilio generale della Chiesa cattolica romana'?”, si è chiesto.

    “Lo stesso vale per il Vaticano I, ecumenico già solo perché l'invito a parteciparvi fu rivolto non solo alle Chiese ortodosse, ma anche ai protestanti, oltre che per la partecipazione di oltre seicento vescovi cattolici. E il Vaticano II - il più grande mai celebrato con i suoi duemila padri provenienti da tutto il mondo - non sarebbe stato ecumenico?”, si è quindi domandato.

    “Già la definizione usata per denominare il Vaticano II evidenzia il rapporto contraddittorio degli editori con questo Concilio”, ha commentato.

    Il presule ha quindi accennato alla “Storia del Concilio Vaticano II”, tradotta in sei lingue, diretta da Giuseppe Alberigo e pubblicata in cinque volumi tra il 1995 e il 2001 (in Italia per i tipi del Mulino e a cura di Alberto Melloni) che “testimonia quale idea ne abbiano i curatori: da un lato lo ridimensionano, dall'altro lo dipingono come un nuovo inizio della vita della Chiesa, con un'implicita rottura con il passato”.

    Monsignor Brandmüller critica implicitamente una delle tesi di fondo di Alberigo e della sua “scuola di Bologna”, fondata negli anni Sessanta da Giuseppe Dossetti, secondo cui il Vaticano II ha segnato una cesura sistemica tra la stagione ecclesiastica anteriore e quella successiva a questo decisivo Concilio ecumenico.

    “Ne deriva anche l'ermeneutica secondo la quale i curatori interpretano il Concilio, distinguendo addirittura tra la lettera dei testi e il cosiddetto 'spirito del Concilio'”, ha aggiunto.

    Gli esponenti della “scuola di Bologna” ritengono che la priorità del Concilio Vaticano II non vada rintracciata nei testi che esso ha prodotto, quanto nell'evento in sé, nel sogno di Papa Giovanni XXIII di una “nuova Pentecoste” per la Chiesa e per il mondo. Mentre la “lettera” sarebbe l'imbrigliamento dell'assise attuato da Paolo VI.

    “Di fronte a questo – ha commentato monsignor Brandmüller – la storiografia più equilibrata e lo stesso Benedetto XVI hanno più volte ribadito con decisione che il Vaticano II, come ogni altro Concilio, va collocato e interpretato nella tradizione della Chiesa”.

    Papa Benedetto XVI, infatti, nel discorso pronunciato di fronte alla Curia Romana, il 22 dicembre 2005, si era espresso in favore di una “'ermeneutica della riforma', del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato”.

    Analizzando i criteri di scelta alla base di questo progetto editoriale, il presule ha affermato che gli editori sembrano aver voluto definire ecumenici “solo i Concili compatibili con il modello bizantino della pentarchia”, sebbene questo criterio risulti, a suo avviso, insostenibile.

    “A prescindere dalla problematicità fondamentale e dall'insostenibilità di questa concezione ecclesiologica - che non ha riscontro né nella Scrittura né nella tradizione apostolica - la sua scelta significherebbe che tutte le Chiese che non riconoscono il Concilio di Calcedonia sarebbero escluse dall'ecumene cristiana”, ha detto.

    “E se si afferma che l'atteggiamento delle Chiese non calcedonesi non tocca l'unità della Chiesa - e che perciò Concili ecumenici sono possibili anche senza di loro - non si può ritenere al tempo stesso che non siano più possibili Concili ecumenici dopo la separazione della Chiesa bizantina”, ha affermato.

    “Va al contrario ribadito con forza che anche dopo il consolidamento dello Scisma d'Oriente, la una sancta catholica et apostolica Ecclesia sussiste e può celebrare Concili ecumenici autorizzati a promulgare affermazioni dottrinali e norme canoniche cogenti per la Chiesa ecumenica, cioè per la Chiesa tutta”.

    “Questa possibilità non può essere vanificata dal fatto che Chiese particolari si separino dal corpus ecclesiae e dal titolare del ministero petrino, costitutivo per l'unità ecclesiale”, ha poi