00 06/01/2010 14:10
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" Spesso il male del vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori che il prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato."


(Eugenio Montale)

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Anche questa poesia, pur nel suo acre pessimismo, vede la vita come sofferenza (il male del vivere) ma ci fa comprendere come l'animo dei poeti sia estemamente vivo e sensibile, partecipe a quel senso di dolore universale dal quale puo' preservarci soltanto un "prodigio" l'indifferenza.
Ci meraviglia pensare che l'unico modo per non essere sopraffatti dal male sia proprio questo estraniarsi e fare di questa estraneità mentale il mezzo per poter percepire il senso e la misura della nostra esistenza.
Un lucido distacco quasi sopranaturale, che diventa dote preziosa per preservarci dal coinnvolgimento emotivo con la realtà, da tutto ciò che è segnato dal male e dal dolore.